Nuovo libro di Don Giuseppe Villa
Relazione fra poesia e teologia
Il dibattito degli esperti sull'argomento - un contributo prezioso per la cultura cattolica
(su Popolo Cattolico 20 maggio 2017 - anno 96 n. 20 p. 6)
Il libro di don Giuseppe - di cui si è data notizia nel numero scorso - ha suscitato molto interesse negli esperti che sono intervenuti nella terza parte del suo volume. Per alcuni di loro è diventata l’occasione per richiamare la poesia di Giovanni Paolo II (Gaspare Mura, già docente alla Gregoriana, alla Lateranense e all’Urbaniana di Roma), il romanzo di Fëdor Dostoevskij, L’Idiota, con la sua famosa frase “La bellezza salverà il mondo” (Marco Ballarini, Dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano) e una parabola araba (Andrea Grillo, docente di teologia dei Sacramenti e filosofia della religione al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma).
Quest’ultimo si concentra sulla questione del linguaggio, che nelle tre interpretazioni della parabola marcano le diversità, ma soprattutto la terza privilegia il linguaggio simbolico. Il linguaggio oggettivo e soggettivo «trovano nella “intersoggettività simbolico-rituale” la loro più autentica garanzia». La poesia ha un ruolo poi «strutturale alla esperienza ecclesiale di rapporto di comunione con Dio». In questo modo il “luogo” della poesia, come quello della fede, non è mai né semplicemente il “privato” né il “pubblico”. «La parola poetica non è né esposta come tale di fronte ad un occhio indifferente del pubblico, né confinata nella privatezza di una privacy inviolabile. È piuttosto parola di una intimità comunitaria, che costituisce anche la cornice più coerente con la Sacra Scrittura».
Gli esperti rilevano alcuni effetti prodotti dalla riflessione e dalle poesie di don Giuseppe. Un primo rilievo è avanzato da P. Sequeri il quale scrive: «Giuseppe Villa è un sacerdote che crede ancora nel lavoro dell’interiorità come cuore del ministero e per questo cerca nella poesia parole e scrittura per la vita secondo lo spirito. Egli Attinge linfa dalla seconda madre di tutti i credenti, generati una seconda volta, alla Parola, dalle sante scritture bibliche: dopo che una prima volta lo furono – tutti – alla parola in cui dimorano gli umani».
Cosa resta dunque di questo saggio e delle sue poesie? Anzitutto, scrive Gaspare Mura il testo di don Giuseppe «costituisce un contributo prezioso per la cultura cattolica. E ciò sia perché testimonia efficacemente come il linguaggio teologico possa trovare nel linguaggio poetico la possibilità non solo di dire, ma di donare in modo immediato i propri contenuti, offrendoli ad un’esperienza coinvolgente e non puramente teorica, ma soprattutto perché rivaluta la via pulchritudinis come la via privilegiata di una Verità che è Via e Vita». Il fatto è, scrive L. Bressan, che questo libro ci consegna un compito «a tutti noi lettori proprio dallo scrittore di essere a nostra volta strumenti che consentono ad altre persone, proprio come lui ha fatto con noi, di sperimentare il potere reale della Parola, così da risultarne non soltanto agiti ma anche trasfigurati, e diventare a loro volta testimoni di questa esperienza. Come novelli apostoli del Risorto».
Prof. Giuseppe Esposito